Archive for Gennaio, 2015

Cassazione: quando una banale spinta diventa omicidio preterintenzionaleby Studio Legale Padula

Una “semplice” spinta può rivelarsi fatale e determinare la condanna per omicidio preterintenzionale. È quanto è capitato al marito di una donna che spingeva il nonno della moglie facendolo cadere a terra e causandogli la frattura del femore sinistro. L’anziano veniva ricoverato in ospedale e dimesso in (apparenti) discrete condizioni generali, ma ospitato presso una casa di riposo, per una settimana, moriva per la c.d. “sindrome di allettamento”.

Per il marito della nipote si profila subito la condanna (oltre che per maltrattamenti a danno della moglie) anche per omicidio preterintenzionale.

L’uomo, pertanto, si rivolge alla Cassazione, impugnando la sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Palermo e lamentando la mancanza del nesso di causalità, considerato che la vittima era stata dimessa in condizioni generali discrete e che la morte era dipesa dalla mancanza di assistenza sanitaria, farmacologica o riabilitativa presso la casa di riposo.

Ma la Cassazione non ha dubbi.

Confermando la sentenza della Corte d’Appello, la S.C., con sentenza n. 2772 depositata ieri, ha ritenuto evidente il collegamento tra la condotta contestata e la morte del nonno, pur in assenza di autopsia.

 Tra le possibili cause che in astratto potevano aver cagionato la morte del nonno, era la sindrome di allettamento (o da decubito protratto) la causa che poteva rasentare la certezza, la quale, ad avviso della Cassazione, “è direttamente riconducibile all’evento traumatico, per cui deve escludersi la sussistenza di una causa sopravvenuta indipendente, capace di interrompere il nesso di causalità, ai sensi dell’art. 41, comma 2, c.p.”.

A nulla sono valse, pertanto, le generiche doglianze dell’imputato sulla responsabilità per negligenza della casa di cura, il ricorso per la S.C. è inammissibile. Ne consegue, dunque, la conferma della condanna per omicidio preterintenzionale e al pagamento delle spese processuali.

Fonte: Cassazione: quando una banale spinta diventa omicidio preterintenzionale
(www.StudioCataldi.it)

 

Due madri per un solo bambino. Il primo sì dei giudici italianiby Studio Legale Padula

di Marina Crisafi – Un bambino può avere due madri? Se per molti ancora può sembrare un’eresia, in un’Italia fondata sulla famiglia “nucleare” formata da padre, madre e figlio, la domanda è stata, invece, positivamente accolta dalla Corte d’Appello di Torino, che ha riconosciuto nelle scorse ore il diritto di due donne (un’italiana e una spagnola) sposate e poi divorziate in Spagna, di essere dichiarate entrambe mamme del bambino dato alla luce nello stesso Paese grazie al ricorso all’inseminazione eterologa.

Una sentenza definita “rivoluzionaria” quella dei giudici di Torino, ma in un certo senso anche attesa.

Pur non avendo il legislatore mosso alcun passo ufficiale sul riconoscimento dei matrimoni gay e men che meno sul diritto alla filiazione/adozione delle coppie appartenenti allo stesso sesso, le corti italiane, chiamate a pronunciarsi più volte su vicende inerenti tali diritti hanno da tempo lanciato moniti su una presa d’atto urgente e necessaria.

Considerata, inoltre, la legislazione di molti Stati europei che si muove in senso contrario rispetto a quella italiana in materia, era scontato, quindi che prima o poi i tribunali del Bel Paese si sarebbero scontrati con una situazione di interesse “superiore”, come quello del diritto di un minore alla propria famiglia, prescindendo dal fatto che questa sia o meno omosessuale.

Così, la Corte d’Appello torinese, sovvertendo la sentenza del tribunale di primo grado, di fronte alla scelta tra la contrarietà o meno all’ordine pubblico e il bene primario del minore, rifacendosi ai principi affermati dalla Convenzione sui diritti del Fanciullo del 1989, ha optato immancabilmente per quest’ultimo, ritenendo il primo declinabile in funzione del secondo.

Ritenendo che la questione non riguardasse l’introduzione ex novo di una situazione giuridica inesistente, ma soltanto la garanzia di “una copertura giuridica ad una situazione di fatto in essere da anni, nell’esclusivo interesse di un bambino cresciuto da due donneche la legge spagnola riconosce entrambe come madri” (indicate, infatti, nello stato civile della città di Barcellona come “madre A” e “madre B”), la Corte ha pertanto ordinato all’ufficiale di Stato civile del Comune di Torino di trascrivere la nascita del bambino come figlio di entrambe le madri. Anche perché, la mancata trascrizione dell’atto di nascita, secondo i giudici subalpini, non riconoscendo in Italia la relazione parentale con la madre non partoriente, limiterebbe e comprimerebbe “il diritto all’identità personale del minore e il suo status”, andando ad intaccare anche la responsabilità genitoriale e privandolo dei rapporti successori nei confronti della famiglia della madre esclusa.

Dal canto suo, il comune di Torino, ha deciso invece di rimandare la trascrizione dell’atto e di attendere sulla vicenda il parere del Ministero degli Interni.

Nel frattempo, tra le polemiche e i consensi che incalzano, resta il fatto che una pronuncia di questo tipo, la prima in assoluto nel nostro Paese, segna un precedente unico di cui, senz’altro, altri tribunali terranno conto.

Evade il Fisco per via della crisi. La Cassazione lo assolve. In allegato il testo della sentenzaby Studio Legale Padula

Evade il Fisco per la crisi e la Cassazione annulla la condanna inflittagli dalla Corte d’appello di Catania.
È quanto è accaduto ad un imprenditore siciliano che, travolto da un improvviso problema di liquidità, determinato dal fallimento del suo unico cliente, preferisce versare gli stipendi di Natale ai dipendenti dell’impresa della quale è rappresentante legale anziché l’Iva all’Erario.
Con la sentenza n° 40394 dello scorso 30 settembre 2014, la Corte di Cassazione ha annullato con rinvio la condanna per mancato versamento dell’Iva inflitta dalla Corte d’appello di Catania all’amministratore di una cooperativa siciliana che aveva come principale committente “una società fallita proprio nell’imminenza della data di scadenza del pagamento delle imposte” e che non aveva potuto fare altro che insinuarsi al passivo del fallimento.
La Suprema Corte, ricordando che occorre sempre “una prova rigorosa” che la violazione della normativa “sia dipesa da un evento decisivo del tutto estraneo alla sfera di controllo del soggetto”, ha rilevato che la Corte d’appello del capoluogo etneo aveva del tutto trascurato di valutare la situazione specifica alla base del dissesto finanziario della cooperativa, in quanto se è vero, come sentenziato dai giudici di Catania, che “la carenza di mezzi finanziari da cui sarebbe derivata l’impossibilità di versare il tributo non influisce in alcun modo sulla struttura oggettiva del reato”, permane in capo alla magistratura “la doverosità di una verifica puntuale circa le caratteristiche della fattispecie concreta giunta all’attenzione dei giudici”.
Con la stessa sentenza i magistrati della Cassazione hanno in ogni caso rimarcato all’amministratore della cooperativa insolvente che tuttavia “non è possibile in linea di principio addurre a propria discolpa l’assenza dell’elemento psicologico del reato quando, in presenza di una situazione economica difficile, si decida di dare preferenza al pagamento degli emolumenti ai dipendenti e di pretermettere il versamento delle ritenute all’Erario”.
Nel ricorso per cassazione l’imprenditore aveva criticato la decisione dei giudici d’appello perché avevano ritenuto sussistere l’elemento psicologico del reato sulla base di una considerazione del tutto formale ossia sul rilievo che l’imputato aveva ammesso di essersi visto costretto ad omettere il versamento dell’imposta.

In questo modo la Corte d’Appello ha omesso di considerare le ragioni per le quali ciò è avvenuto. Nella parte motiva della sentenza la Cassazione richiama anche un proprio precedente del 2013 (sentenza n.5905/2013) per ricordare che il tipo di esimente richiesta dall’imputato “è tradizionalmente identificata come la vis major cui resisti non potest, e consiste in quell’evento proveniente dalla natura o da fatto umano, che costituisce una forza maggiore rispetto a quella che può essere esercitata dall’agente. In tal modo, l’evento viene rescisso in modo assoluto dalla condotta dell’agente stesso”.
Naturalmente, ricorda la Corte, per invocare la causa di giustificazione della forza maggiore occorre una prova rigorosa sul fatto che la violazione del precetto penale “è dipesa da un evento del tutto estraneo alla sfera di controllo del soggetto agente”.
Secondo la Cassazione la decisione dei giudici di merito è errata laddove viene negata rilevanza alla causa di forza maggiore in modo piuttosto sommario.
Dato che la fattispecie in esame caratterizzata da dolo generico (e non specifico come erroneamente indicato dai giudici dell’appello), sarebbe stato necessario un accertamento più pregnante specialmente perché nel caso in esame non viene negata l’evasione ma dedotta la sopravvenienza di un evento estraneo alla volontà dell’agente.
Qui di seguito il testo della sentenza.

Fonte: Evade il Fisco per via della crisi. La Cassazione lo assolve. In allegato il testo della sentenza
(www.StudioCataldi.it)

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